Gay & Bisex
Daniele 4 - Ultimo atto
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17.01.2025 |
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"- e rimane in silenzio per un tempo che mi pare lunghissimo..."
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Mi chiamo Giulio, adesso ho 23 anni e sto per laurearmi. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando il mio amico Daniele mi ha iniziato. Prima da solo poi in tre fino a cinque. Di questo ho parlato nel precedente racconto: Daniele 3 - Il gatto e il topo.
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Inutile negarlo. Daniele, sebbene non si combini più niente assieme, mi ha in qualche modo condizionato i sentimenti. Il fatto che ogni tanto vada al vivaio a vedere se c'è, giusto per scambiare due chiacchiere e vederlo sorridere sotto la zazzera corvina, indica che la nostra non è solo un'amicizia sessualizzata ma qualcosa di più. In una di queste mie visite, mi è svenuto davanti afflosciandosi a terra come una pera cotta. Si è ripreso quasi subito e non ha voluto essere portato al pronto soccorso. Doveva essere lo stress per i casini che aveva da un anno a questa parte. I suoi genitori erano morti in un incidente d'auto e lui, unico parente stretto, aveva dovuto riconoscerne i corpi, cosa che non è il massimo per un poco più che ragazzo. Ma più stressanti erano stati gli adempimenti burocratici connessi con la successione, peraltro non ancora compiuti.
Nei giorni seguenti Daniele riprese il lavoro tranquillamente.
Un giorno, mentre tornavo a casa dall'università e pensavo giusto ai casini della vita attuale di Daniele che doveva sembrare disperatamente diversa dalla mia in questo periodo, mi arriva una sua telefonata. Aveva un tono falsamente allegro:
- Sai, sono all'ospedale in OBI, osservazione breve intensiva... sì, sono svenuto ancora e vogliono vederci chiaro... Jaco è a scuola e non posso chiamarlo ma io avrei bisogno, se per te non è un problema, di mutande... anche di carta... non posso aspettare Jaco stasera... all'ingresso dell'ospedale le trovi nella sanitaria... già che ci sei prendimi anche la settimana enigmistica... mica posso passare il tempo sempre a guardare medici e infermieri... grazie, sei prezioso... clic
Lo trovai esageratamente euforico: si sarebbe trattato solo di qualche giorno... erano indecisi tra un qualcosa di cardiaco e di neurologico... non aveva bisogno d'altre cose, poi a sera sarebbe passato Jaco e comunque tra un paio di giorni sarebbe venuto a casa.
Era stato così in effetti; quando telefonavo diceva di star bene ma a lavorare non ci tornò.
Un pomeriggio Daniele mi telefona per chiedermi se volevo andare da loro a cena che avevano importanti novità. Subodorando un happening a 3 che in quel frangente non mi andava, dico che ho un altro invito ma che sarei comunque passato da loro prima di cena. Non c'è nessuno oltre loro due. Daniele appare dimagrito e sciupato, tuttavia è ridanciano e allegro come sempre; il prof un poco spento, ma anche lui sorridente, sebbene col sorriso un po' triste, stanco forse. Mi annunciano che avevano completato l'iter burocratico per l'unione civile e che sarebbero stati onorati se avessi loro fatto da testimone assieme a un'altra persona, che non conoscevo, in una cerimonia molto privata ed intima senza alcun festeggiamento. "Ah, di questo si trattava dunque" pensai e fui sollevato che non ci fosse in mezzo il sesso. Dissi che ero io quello onorato a far loro da testimone di nozze.
- Nessun genere di regalo, sia ben chiaro. Non ci sono invitati né rinfresco. Sarà forse un po' squallido ma ci va di fare così. Poi in luglio andiamo via un mesetto forse anche di più, in una specie di viaggio di nozze...
- Dove andate? - chiedo.
- Oh stiamo vicini. Ci giriamo tutta la Svizzera...
Daniele col suo tono festoso dice:
- Ma veramente non ti fermi che ho fatto la pizza io... Mi viene bene, sai... Per te capricciosa con tantissima mozzarella - e giù a ridere.
- Va bene, disdico l'impegno - e vado sul terrazzo dove faccio finta di telefonare.
C'era qualcosa di falso tra loro due comunque. Mentre Daniele sbroglia la tavola, Jacopo dice:
- Sai Giulio, ci abbiamo pensato molto...- e rimane in silenzio per un tempo che mi pare lunghissimo.
- Volevamo anche chiederti se ci fai da testimone in un atto notarile...
- Sai... dato che ho solo parenti lontani, è da tempo che ho pensato di fare donazione della casa a Daniele e mi servono due testimoni. Uno è un collega e l'altro vorrei fossi tu.
- Ma certo - dico - con piacere...
- Sarebbe per venerdì pomeriggio alle 16...
- Va bene, mandami un sms coll'indirizzo.
- Sai abbiamo pensato anche a un'altra cosa, se non ti turba...
- Mamma mia, come la tieni lunga... e dimmi tutto che mi pare l'annuncio di una tragedia...
Entra Daniele supersorridente con una bottiglia di prosecco in una mano e tre flute di plastica nell'altra:
- Lo dice a moviola perché riguarda un'eventuale mia dipartita. Sai com'è, può sempre capitare... E poiché anch'io ho solo eredi lontani; piuttosto che lasciare la casa ai suoi e miei secondi e terzi cugini ci darebbe fuoco, avremmo pensato di intestare la donazione della casa direttamente a te, riservando a noi l'usufrutto. Ecco.
Sono frastornato e non so cosa dire. Jacopo con calma dice:
- Per te non cambia niente in fin dei conti. La spesa dell'atto notarile è ovviamente a carico mio.
E Daniele:
- Forza... facciamoci un goccetto, brindiamo al futuro proprietario di quest'attico...
- Speriamo molto, molto futuro - dico io e facciamo cin cin.
Nei giorni seguenti ognuno è tornato alla propria vita. L'episodio notarile è stata una cosa formale e veloce in cui non ho neppure prestato attenzione a quello che si diceva. Avrei solo dovuto andare dopo 15 giorni a ritirare la mia copia. Quando sono andato non l'ho neppure letta perché ero occupatissimo.
All'università mi ero iscritto da un po' al gruppo sportivo di nuoto. La cosa, benché mi sottragga molto tempo alla preparazione degli esami mancanti, mi piace un sacco e mi dà anche modo di concludere incontri sessualmente molto produttivi. Ho un certo successo in quanto devo ammettere che, ora, sono al massimo della forma e, a modo mio, sono pure sexy: un metro e novanta, snello, un bel pelo corto castano sobriamente distribuito, un bel carattere aperto, un aspetto molto maschile sebbene mi piaccia prenderlo in culo; non mi sottraggo agli apprezzamenti scherzosi o meno di chi ci prova per finta o per davvero ed infine, tra le cosce, ho una sberla di 20 centimetri con circonferenza adeguata.
Ci sono momenti in cui la sala docce è tanto affollata che ci si deve mettere in coda in mezzo a chi aggrotta le sopracciglia vedendo che alcuni sono più determinati degli altri a tirarla per le lunghe insaponandosi a lungo i cazzi barzotti.
- Ehi Giulio - dice Carlo-cazzogrosso facendomi un cenno-invito sotto il suo getto dandomi così modo di aggirare la coda - c'è molto traffico, ma me ne impippo: a me piace guardare i ragazzi... - e intanto mi insapona le scapole descrivendo archi esitanti e ammirati. A me comincia a venire duro...
Andrea, l'istruttore, nel box doccia di fronte, col suo corpo asciutto, le gambe un poco a x, la sua testa squadrata e brizzolata, risciacquatosi dal bagnoschiuma al catrame, si va ad asciugare guardando me e Carlo con aria di rimprovero, quasi da sergente maggiore. Prende il suo posto un indopakistano olivastro con denti gialli, mani enormi e un cazzo straordinariamente estensibile che, inizialmente di dimensioni comuni, s'ingrossa copiosamente dopo un paio di indifferenti carezze insaponate diventando in breve orgogliosamente eretto. Al suo sogghigno, Carlo-cazzogrosso risponde con una mimica facciale di schietto apprezzamento.
Nella massa anonima dei maschi sotto le docce, cazzi e palle assumono quasi caratteri indipendenti messi in mostra in istruttivo contrasto: c'è il pene lungo e languido e il corto uccello atletico o l'innocente bocciolo di rosa di certe matricole; il gigante scuro di Carlo-cazzogrosso ciondola vicino al piccolo pisello di un cinese quasi sepolto dagli umidi peli pubici come un fungo esotico in un piatto di alghe; più avanti c'è il giovane longilineo che esibisce un lungo scoraggiante prepuzio strettissimo intorno al glande e poi il cazzo di un sollevatore di pesi radicalmente circonciso nel consueto stato ambiguo, non del tutto a riposo, non del tutto eretto. Lo guardo sfacciatamente mentre si gira lento da un fianco all'altro senza neppure accorgersi di me, sperduto nel suo sereno mondo di pesista. Non ce la faccio più, mi copro l'erezione, dico una parola a Carlo-cazzogrosso che mi segue sgocciolante ridacchiando nella latrina dove, con avidità e rapidità, ci portiamo l'un l'altro all'orgasmo.
Il mio attuale problema, oltre a un paio d'esami ancora da dare, è quello di scrivere la tesi e, dato che fa caldo, mi servirebbe un posto fresco e quieto. Carlo-cazzogrosso mi propone di sostituirlo la prima settimana di giugno in montagna col suo amico capo scout Agostino in quanto lui deve traslocare. Poi nella seconda ci avrebbe raggiunti e io sarei potuto tornarmene. Era un campo per solo una squadriglia di lupetti quindi facilmente gestibile da Ago da solo. Io avrei potuto starmene tranquillo per i fatti miei e non dovevo preoccuparmi neppure per la cucina in quanto c'era un cuoco del posto.
Il posto è una vecchia colonia un paio di km fuori da un piccolo paese dove finisce tutto, strada compresa. Non è male e c'è perfino una piccola piscina, subito riempita e clorizzata alla buona con una tanica di candeggina, in attesa che lo sterilizzatore sia pienamente operante. Agostino ha sotto i 30 anni, barba piena rasata corta, carnagione chiara e gambe muscolose sotto quei ridicoli calzoni corti che indossa. Il cuoco è un montanaro massiccio, forse più giovane dei 40-50 anni che gli do, fisico da camionista e di pochissime parole. I ragazzi, tutti maschi dormono in due stanzone su lettini da campeggio mentre io ed Ago abbiamo ognuno la propria stanzetta con bagno nel corridoio. Il cuoco non so dove dorma.
Il giorno dopo i puffi, come mi veniva da chiamare gli scout per il colore della loro divisa, vanno con Agostino a fare un'escursione. io sono in coma perché la notte non sono riuscito a dormire per il troppo silenzio o per lo meno perché prestavo attenzione a una miriade di rumori ai quali non sono abituato. Gironzolo per la colonia e incrocio più volte il cuoco che mi squadra con risoluta indifferenza. Gli chiedo se posso essergli utile per fare qualcosa. Scuote la testa e bofonchia:
- Me la vedo da solo.
Poi dopo un po' mi chiede a quale titolo io sia lì.
- Sono solo ospite di Agostino - rispondo - ma, fra una settimana, appena arriva Carlo, me ne vado.
Al suo "grunf" me ne vado e in seguito cerco di non incrociarlo. Al pomeriggio sento un gran casino e vedo il cuoco che rincorre con in mano un padellone due dei ragazzi più grandi che si erano divertiti a fargli degli scherzi. Agostino è uso a queste cose e non ci fa caso. Ho sonno e gli dico che vado a dormire un po'. Mi metto nudo sul letto e piombo in un sonno profondo. Mi sogno stranamente Carlo-cazzogrosso a cui sto succhiando l'uccello nei cessi degli spogliatoi del centro universitario sportivo quando mi sveglio perché qualcosa mi sta sfregando l'interno coscia: è Ago che mi guarda il cazzo duro e biascica:
- Però... mica male...
Appena si rende conto che sono sveglio, si abbassa e l'inghiotte. E' bravo e io non vengo da tre giorni, sento che non durerò tanto, dovrei dirgli che sto per venire? Ma chi se ne frega, me ne sto zitto e gli vengo in bocca. Trattiene tutto finché il mio arnese ha smesso di pulsare, poi estrae un fazzoletto e gli sversa dentro la mia cospicua quantità di sperma. Con un altro fazzolettino, si pulisce la lingua, si alza e dice con nonchalance:
- E' ora di cena.
La notte di nuovo non riesco a prender sonno: pago lo scotto della dormita pomeridiana. E' mezzanotte e scendo in cortile. La notte pur senza luna è luminosa e mi allontano verso il cancello d'ingresso per ammirare lo spettacolo delle lucciole nella vallata. Mi pare di cogliere dietro di me un lontano scalpiccio e vedo alcuni dei ragazzini in mutande, scesi forse per fare un tuffo. Certo è che fanno una gran confusione bisbigliandosi reciprocamente di non farla. Sono 2 più grandi e tre più piccoli. Di soppiatto faccio un giro largo per raggiungerli da dietro con occhi da volpe e in perfetto silenzio. Uno dei due grandi si toglie le mutande esibendo un uccello di tutto rispetto già rigido e smutanda uno dei piccoli. L'altro più grande fa schiumare il sapone nell'acqua della piscina e glielo sfrega sul culo mentre gli altri piccoli si spogliano da soli. Il primo, insaponatosi l'uccello e chinato il piccolo a pecora lo tromba senza tante storie mentre l'altro, appoggiato a terra il sapone, si è infilato il collo del piccolo in mezzo alle cosce e slinguazza l'altro grande. I piccoli li accarezzano e leccano l'uccello dell'ultimo. Il primo sospende l'inculata e cede il posto prima a uno e poi all'altro dei due spettatori più piccoli, va dietro all'altro grande che si piega in avanti e si fa montare.
Sono ben udibili il respirare e i piccoli ritmi eccitanti e grossolani del sesso che fanno deglutire e brancicare per averne ancora. Non so se raggiungono l'orgasmo ma a un certo punto, sempre ingiungendosi a vicenda di stare zitti, scivolano nella piscina e nuotano nell'oscurità subacquea dove l'impianto di sterilizzazione, col suo fievole ronzio, ruota intorno al tentacolo risucchiante del suo stesso tubo.
Si sente un cigolio poi un borbottio che si avvicina. Tutti schizzano fuori dall'acqua cercando le proprie mutande. Entra il cuoco in mutandoni e canottiera con una frasca di salice in mano che fa sibilare per l'aria mentre i ragazzi guadagnano le scale, ma i due grandi riescono ad abbassargli le mutande e lui incespica. Sento dirgli distintamente mentre rientra:
- Me la pagherete... oh se me la pagherete...
Il giorno dopo accenno qualcosa ad Agostino, riguardo il traffico notturno dei "suoi" ragazzi. Ago taglia corto:
- Io la notte dormo... e anche i ragazzi.
Non aggiungo altro anche perché, sebbene mi avesse fatto una pompa, non sprizzavamo amicizia reciproca e alla pompa non si era neppure accennato.
Venerdì pomeriggio arriva Carlo-cazzogrosso con una valanga di derrate alimentari e dolci anticipando la visita dei genitori per la domenica. Non indago dove dorme perché, se mi vuole, sa dov'è la mia stanza. La notte, dalla finestra aperta, mi svegliano mezze frasi bisbigliate e ansimi inconfondibili. Scendo. In acqua non c'è nessuno ma i rumori provengono dal locale servizi. Mi avvicino con circospezione alla porta e vedo il cuoco che si sta scopando uno dei ragazzi più grandi. Lo possiede con una gamba sollevata su un lavandino che pare staccarsi dal muro sotto le potenti bordate del cuoco nel suo culo. Il ragazzo, che in quell'abbraccio gigantesco pare ancora più piccolo ed esile, si alza ed abbassa di fronte alla propria immagine che, appannata dal respiro, si riflette nello specchio. Un crocchio di tre ammiratori fa cerchio attorno a loro toccandosi e mormorando parole d'incoraggiamento.
Sono eccitato ma anche turbato. In silenzio me ne vengo via deciso ad andare a svegliare Agostino. Mi soffermo davanti alla porta chiusa della sua stanza perché sento distintamente la voce di Carlo-cazzogrosso:
- Succhia Ago, mi sei mancato un casino, succhia che poi te lo ficco in culo... sì così... vieni qui, dammi il culo... che non mi trattengo più.
- Piano, fa piano - sento dire sommessamente Agostino - mettici del gel che mi sventri...
- Ti faccio un culo come un paiolo...
Abbasso silenziosamente la maniglia e spingo, ma la porta non si apre. I maledetti si sono chiusi dentro. Rilascio lentamente la maniglia e mi meno l'uccello immaginandomi la scena. Sborro copiosamente sulla maniglia e contro la porta. Torno in silenzio in camera e mi addormento. La mattina saluto tutti e scendo in città.
E' luglio ed è il mio compleanno. Ho tanti amici ed amanti ma ho detto a tutti che sarei andato via perché non mi va di sentirmi fare gli auguri. Mi sarebbe piaciuto ci fossero stati Daniele e Jaco, ora ufficialmente marito e marito per festeggiarlo assieme ma c'è invece una lettera da Ginevra che ho letto solo a metà ed è con costernazione che riprendo a leggere:
"... non so, so solo che mi sento fuori; non riesco a fare niente di quello che vorrei non vedo mai nessuno e quelli che vedo non vorrei vederli; è da tanto che non ci siamo incontrati; lo so che hai tanto da fare con la tesi e tutti i ragazzi con cui ti fai, ma mi sarebbe piaciuto rivederti una volta, anche se mi rendo conto che è meglio che tu, che dopo tutto sei uno dei più vecchi amici, non veda il mio sorriso spento, la faccia segnata da qualche ruga come tratti di carboncino e gli occhi che hanno perso spensieratezza e approfondito la loro malinconia. Ma ti penso in continuazione e converso mentalmente con te e immagino cosa tu diresti di varie cose. Sei stato il mio compagno più costante anche se sono stato così ridicolo da non mettermi in contatto con te per tanto tempo. Ero più grande e più vissuto, ma ti ho sempre ammirato e cercato d'essere come eri tu, ma senza insistere, senza pressare, lasciando fatalisticamente che le cose andassero come dovevano andare. Ti ero più che amico, Giu, credo di essere sempre stato un po' innamorato di te. Ora tutto è finito, questa lettera te la sta scrivendo Jaco per me. Sono giorni che non riesco più a muovere le mani, faccio fatica anche a dettare. L'avevano detto fin da subito che non c'era speranza e che si trattava di qualche mese, per non dire di settimane. Siamo venuti qui per finirla prima che la cosa diventi troppo devastante per me e per Jaco. Ti voglio bene Giu. Ciao."
Per tutta l'estate sono rimasto in uno stato di prostrazione apatica, incapace di parlare con chiunque di ciò che mi devastava, del dolore che mi trafiggeva, dei sensi di colpa che provavo.
"Anch'io Daniele forse ero innamorato di te, ma non abbastanza. Anch'io forse avrei desiderato esserti più vicino, ma non abbastanza. Anche tu per me contavi molto, ma non abbastanza..."
Ovviamente non mi sono laureato e i miei non sanno spiegarsi il perché. Più volte sono andato all'appartamento del prof ma non c'era mai e neppure si è presentato a scuola all'inizio dell'anno scolastico. In novembre mi è arrivata la telefonata dallo studio notarile per concordare una data per formalizzare l'atto di successione.
- Ogni spesa a tutt'oggi è stata coperta dal donatore ed è improbabile che ci siano ulteriori formalità burocratiche da sbrigare in futuro. Se e quando avrà bisogno, noi siamo qui, ma intanto queste sono le sue chiavi di casa...
Era un muro di gomma... appena mi pareva di stare meglio, subito il pensiero di Daniele, ed ora anche del prof, mi determinava un angosciante vuoto d'ansia allo stomaco. Appena entrato nella casa ho realizzato che non avrei mai potuto tenerla. Troppi ricordi... Lentamente ho cominciato ad aprire qualche cassetto e ho concretizzato che il prof aveva tolto tutte le cose personali: non c'era un indumento, non una suppellettile, un disco, una foto, una qualsiasi cosa legata a loro due, ma c'erano tutti i libri, i quadri, i mobili e le stoviglie e poi lei: una cassa di assi di legno inchiodate in mezzo al salotto, con spennellato sopra: x Giulio. Non mi fu semplice aprirla. Conteneva il telescopio, un'urna funeraria e una lettera. Mi misi a piangere e pareva non riuscissi a smettere, ma poi mi feci forza e aprii la lettera.
"Ciao Giulio, come avrai notato io non risultavo tra gli usufruttuari e il notaio ti avrà spiegato che ora la casa è tua e nessuno dei miei parenti e di quelli di Dani può reclamarla. Senza di lui la mia vita non ha molto senso, per ora andrò in un monastero in Romagna a cercar pace, poi non so dove andrò a porre fine ai miei giorni, ma sono lieto che nessuno lo sappia mai. Di tutto ciò che l'appartamento contiene fai ciò che credi, ma mi è gradito pensare che terrai per te il telescopio. Ti lascio anche Daniele. La sua volontà era d'essere disperso, io non ho avuto il coraggio di farlo, ma tu di certo troverai il momento e il posto adatto. Fatti forza. Un bacio."
E' novembre e dovrei laurearmi fra qualche giorno ma già so che non lo farò. Abbraccio l'urna con le ceneri di Daniele, piango e decido di tenerle con me.
In una ventosissima e fredda giornata di marzo, mi sveglio stranamente determinato. Prendo le ceneri di Daniele e vado al fiume, a quel fiume. E' gonfio d'acqua e non posso scendere sul greto, ma devo farlo. Giro un po' e trovo un'ansa con l'acqua tranquilla, il vento è forte, apro il coperchio e butto il contenuto in aria. Guardo Daniele disperdersi in quei luoghi che ben conosceva. Ma improvvisamente un pensiero potente mi passa per la testa. Un po' di ceneri ci sono ancora nel contenitore. Le prendo e con una gran fretta torno all'auto, riparto e torno in città e vado dove c'era il distributore di Ermanno, chiuso e smantellato da tempo. C'erano ancora le piattaforme, un tempo base per le pompe. Individuo quella dove lo avevo ri-incontrato e lo rivedo col vento che gli smuove i capelli neri, rivedo il suo sguardo e il suo sorriso. Capovolgo l'urna e una folata di vento ghermisce ciò che mi rimane di Daniele portandolo in alto. Due nuvole più chiare su un cielo coperto, sembrano un viso che sorride... e finalmente mi pare di sentirmi pervadere da un triste senso di pace.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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Commenti per Daniele 4 - Ultimo atto:
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